Onorevoli Colleghi! - Nel 1987, con larghissimo consenso parlamentare, venne finalmente approvata la legge n. 49, che regolamenta ancora oggi l'intero settore della cooperazione italiana. Una buona legge all'origine che, tuttavia, nel corso di più di vent'anni, ha prestato il fianco ad una serie di critiche, in particolare circa l'efficacia e l'efficienza dell'attività di cooperazione condotta dall'Italia, e che ha portato, pertanto, alla diffusa convinzione, tra operatori di settore, funzionari pubblici, esponenti politici e soggetti della società civile, della necessità di una riforma complessiva che potesse superare alcune inadeguatezze manifestate in questi anni dalla legge n. 49.
      Sul piano nazionale, infatti, la politica italiana di cooperazione allo sviluppo è ormai da anni in una fase di stallo, mentre gli attori principali lamentano sempre più gravi difficoltà. Il poco che è rimasto della politica pubblica di cooperazione è ormai privo di strategia e di coerenza. Vi è inoltre una certa arretratezza dei meccanismi burocratici, di controllo e di gestione nel rapporto tra Ministero degli affari esteri e attori della solidarietà internazionale, e un difficile coordinamento tra le diverse istituzioni, sia tra i Ministeri sia tra questi, le regioni e gli enti locali.
      Se a questo aggiungiamo la riduzione drastica dei fondi operata progressivamente nelle leggi finanziarie degli ultimi quattro anni - tendenza fortunatamente corretta con la legge finanziaria 2007, legge n. 296 del 2006 - possiamo spiegare il triste primato di ultimi in classifica dei

 

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Paesi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) quanto al rapporto tra Aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e prodotto interno lordo (PIL), il mancato rispetto degli impegni internazionali - tra cui si profila anche quello relativo al raggiungimento di una quota di finanziamenti pari allo 0,7 per cento del PIL entro il 2015 - e la quasi paralisi della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) del Ministero degli affari esteri.
      È ormai opinione comune, quindi, che trascorsi venti anni dall'entrata in vigore della prima legge organica in materia di cooperazione occorra oggi una riforma che consenta un rilancio autentico della cooperazione internazionale, che non la consideri più, in particolare, come una sorta di politica accessoria alla politica estera, bensì come un'assoluta priorità politica dell'azione di governo; che non si limiti solamente a fronteggiare un problema di maggiori risorse ma metta, anche e soprattutto, a punto una macchina organizzativa adeguata alle nuove esigenze di una moderna azione di cooperazione.
      Oggi riteniamo, infatti, che il futuro della cooperazione passi anche attraverso un radicale ripensamento delle sue linee di fondo, che consideri cioè la politica di cooperazione come una parte importante e qualificante della politica estera italiana ma, al tempo stesso, abbia il coraggio di svincolarla e di renderla autonoma da altre e diverse finalità che pure legittimamente si perseguono nell'azione di protezione internazionale del Paese.
      La motivazione precipua dell'aiuto pubblico allo sviluppo deve, infatti, rimanere la riduzione della povertà e la promozione di uno sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile, riservando ad altri strumenti le finalità di promozione commerciale e di sostegno alle esportazioni.
      La cooperazione internazionale dovrebbe essere innanzitutto uno strumento per la costruzione di un Welfare globale, fondato su un modello di «relazioni» fra cittadini, componenti della società civile ed espressioni organizzate a livello territoriale, improntata ai valori della giustizia, della difesa e promozione dei diritti umani e della garanzia dei beni comuni, sulla base di relazioni di partenariato, ossia di relazioni dirette fra comunità, enti locali e singoli cittadini.
      Del resto questi obiettivi sono conformi agli stessi impegni assunti nelle sedi internazionali. È sufficiente citare la risoluzione 55/2 dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel corso della sessione speciale nel settembre del 2000 a New York, in occasione della quale è stato ufficialmente sancito il patto di ridurre drasticamente il divario economico tra il Nord e il Sud del mondo entro il 2015, attraverso il perseguimento di otto obiettivi internazionali di sviluppo: 1) sradicamento della povertà estrema e della fame; 2) assicurazione entro il 2015 di un'educazione primaria per tutti; 3) promozione delle pari opportunità di genere; 4) riduzione di due terzi (tra il 1990 e il 2015) del tasso di mortalità infantile; 5) riduzione di tre quarti del tasso di mortalità materna; 6) lotta all'HIV/AIDS, alla malaria e alle principali malattie infettive; 7) assicurazione di uno sviluppo sostenibile; 8) costruzione di una partnership globale per lo sviluppo.
      In questo quadro, le proposte per cambiare direzione sono ormai note: riformare la legge n. 49 del 1987, sganciare la cooperazione dalle finalità della politica commerciale e dagli interventi militari, rispettare gli impegni presi in sede internazionale con gli obiettivi del Millennio.
      È allora indispensabile che il Parlamento ponga mano a una significativa riforma dell'attuale disciplina, riaffermando innanzitutto i princìpi etici cui deve ispirarsi la cooperazione internazionale e sancendo il ruolo e il protagonismo dell'Italia nell'ambito della politica estera; ponendo al centro dell'attività di solidarietà il soddisfacimento dei bisogni primari dei Paesi in via di sviluppo e, in primo luogo, la salvaguardia della vita umana, l'autosufficienza alimentare, la lotta contro la povertà e lo sfruttamento dei più deboli.
      Lo Stato deve continuare a ricoprire un ruolo centrale dal momento che non è
 

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pensabile una politica di cooperazione forte senza il significativo contributo pubblico, il quale dovrà garantire e non soffocare la partecipazione degli attori non governativi, degli enti locali, del privato sociale e delle imprese. L'impianto normativo della presente proposta di legge dovrebbe rendere più facile l'utilizzo di risorse pubbliche da parte di tali attori, certificandone l'ammontare e permettendo di valutarne pubblicamente i risultati, favorendo l'azione dei privati secondo una prospettiva sussidiaria e accrescendo le risorse attraverso misure idonee ad agevolare la raccolta di fondi dei soggetti privati.
      In questo impianto, in cui l'indirizzo e il controllo politico sono condivisi dal Governo, attraverso il Ministero degli affari esteri e il Viceministro per la cooperazione allo sviluppo, e dal Parlamento, è necessaria, altresì, la presenza di uno strumento esterno che abbia dei margini adeguati di autonomia e indipendenza, operative e finanziarie, a tutto vantaggio dell'efficienza e della flessibilità di azione. A questo scopo la presente proposta di legge prevede l'istituzione di una Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo con contabilità separata da quella dello Stato, con personale specializzato, che abbia un ruolo tecnico-operativo e possa facilmente rispondere alle molteplici esigenze tecniche e di controllo che la cooperazione allo sviluppo esige, rispondendo contestualmente a criteri di efficienza, economicità e responsabilità propri di una struttura al passo con la complessità proposta dai problemi di solidarietà internazionale.
      Nel riconoscimento e nella valorizzazione dei diversi soggetti della cooperazione allo sviluppo, un ruolo particolarmente significativo è svolto dalla cooperazione decentrata. È da anni, infatti, che comuni e regioni sono impegnati a mobilitare risorse culturali, professionali ed economiche per dare sostegno a iniziative di cooperazione nei confronti di Paesi in via di sviluppo. Si tratta di una dimensione relativamente nuova, la cui regolamentazione non è più sufficiente in tema di rapporto tra la cooperazione allo sviluppo attuata dalle autonomie locali e la cooperazione governativa.
      Importante è anche la nuova definizione di competenze e di modalità operative nell'ambito degli interventi di emergenza conseguenti a grandi catastrofi umanitarie o naturali. In questo senso è importante ribadire il concetto unitario della cooperazione allo sviluppo, pur distinguendo gli impegni finanziari destinati all'aiuto da quelli destinati alle emergenze, e mantenendo la possibilità di affidare la parte più operativa, finalizzata al soccorso rapido e all'immediato ristabilimento delle condizioni di vita essenziali, al Dipartimento della protezione civile.
      Pertanto, l'articolo 1 della presente proposta di legge definisce l'oggetto della politica di cooperazione allo sviluppo, riaffermando in particolare che essa è parte fondamentale e qualificante della politica estera dell'Italia e contribuisce, tra gli altri, al raggiungimento degli obiettivi del Millennio sanciti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite.
      L'articolo 2, nel definire i princìpi fondamentali dell'APS, prevede in particolare quelli del partenariato e del co-sviluppo, in coerenza con gli orientamenti e con le priorità fissati a livello comunitario e internazionale. Sono espressamente esclusi dall'APS interventi a sostegno di operazioni militari o con finalità di penetrazione commerciale e l'APS non è subordinato ad altre esigenze di politica estera. Infine, l'APS è svincolato dalla fornitura di beni e di servizi italiani nel rispetto dei criteri adottati in sede OCSE - Comitato di aiuto allo sviluppo (DAC).
      L'articolo 3 garantisce la coerenza delle politiche di cooperazione allo sviluppo condotte dai Ministeri, dalle amministrazioni regionali e da quelle territoriali. Il Ministro degli affari esteri è il responsabile della politica dell'APS italiano; le funzioni relative all'APS sono assicurate dal Viceministro per la cooperazione allo sviluppo, e la coerenza globale delle politiche di cooperazione è garantita dal Consiglio dei ministri cui partecipano anche il Viceministro per la cooperazione allo sviluppo e
 

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il presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
      L'articolo 4 stabilisce la procedura che conduce all'approvazione di un programma triennale degli interventi di cooperazione allo sviluppo e al suo aggiornamento su base annuale. Entro il 15 marzo di ogni anno, infatti, il consiglio di amministrazione dell'Agenzia di cui all'articolo 6 presenta al Ministro degli affari esteri una proposta di programmazione triennale degli interventi e di ripartizione delle risorse del Fondo unico di cui all'articolo 5. Sulla base della proposta presentata, il Ministro degli affari esteri, sentito il Viceministro per la cooperazione allo sviluppo, definisce le strategie e le priorità contenute nel programma triennale, che dovrà essere approvato dal Parlamento entro il 15 giugno di ogni anno.
      L'articolo 5 prevede l'istituzione di un Fondo unico per la cooperazione, nel quale confluiscono tutte le risorse destinate all'APS. Sulla base del programma triennale approvato dal Parlamento, l'Agenzia decide gli interventi dell'APS italiano e ripartisce le risorse tra i Ministeri coinvolti, gli enti territoriali interessati e gli altri soggetti della cooperazione. Nell'ambito del Fondo unico sarà poi la legge finanziaria a riservare alla disponibilità del Ministero dell'economia e delle finanze le risorse relative ai contributi obbligatori dovuti alle istituzioni finanziarie internazionali.
      L'articolo 6 prevede l'istituzione dell'Agenzia italiana per la cooperazione italiana allo sviluppo, che è responsabile dell'attuazione del programma e strumento di gestione dell'APS. Essa è dotata, tra l'altro, di autonomia gestionale, amministrativa, contabile e patrimoniale e, in particolare, non è assoggettata alle norme ordinarie sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato. Essa è tenuta, altresì, ad obblighi di pubblicità e di trasparenza tramite l'istituzione di una banca dati contenente le informazioni sugli interventi, sul loro valore complessivo e sugli ammontari finanziati, sul settore di intervento e sugli enti attuatori. L'accesso alla banca dati è pubblico.
      L'articolo 7 disciplina la nomina, i compiti e le funzioni di alcuni organi dell'Agenzia, tra cui il consiglio di amministrazione, che definisce e controlla la struttura dell'Agenzia, e il presidente dell'Agenzia, che ne assume la rappresentanza legale e ne assicura la corretta gestione. Il presidente e i membri del consiglio di amministrazione durano in carica tre anni e possono essere riconfermati una sola volta.
      L'articolo 8 disciplina i cosiddetti «aiuti di emergenza», finalizzati, cioè, al soccorso delle popolazioni e al rapido ristabilimento delle condizioni necessarie per la ripresa dei processi di sviluppo. La percentuale massima delle risorse del Fondo unico destinabile agli aiuti di emergenza è fissata nell'ambito della programmazione triennale di cui all'articolo 4. Nel caso di emergenze dovute a gravi calamità naturali l'Agenzia può affidare gli interventi di emergenza e soccorso al Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri che agisce in autonomia secondo le proprie procedure operative e di spesa.
      L'articolo 9 promuove e valorizza i diversi soggetti, pubblici e privati, della cooperazione allo sviluppo sulla base del principio di sussidiarietà. Tra gli altri, possono partecipare alla gestione e all'attuazione dei progetti di cooperazione approvati dall'Agenzia, e assoggettati a procedure concorsuali, le organizzazioni non governative (ONG), le associazioni e i soggetti senza scopo di lucro con prioritaria finalità di cooperazione, gli enti pubblici, le università e i centri di ricerca, le imprese, gli istituti bancari e le fondazioni e, infine, le regioni e gli enti locali. Una disciplina particolare è prevista per le ONG cosiddette «riconosciute», ossia quelle con idoneità verificata periodicamente in base ai parametri e ai criteri fissati dall'Agenzia, che potranno anche proporre di loro iniziativa singoli progetti per i quali chiedere finanziamenti, anche discostandosi dalle priorità dell'APS. Ampio rilievo viene altresì riconosciuto alle iniziative di solidarietà internazionale e di interscambio svolte a livello decentrato
 

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dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti territoriali. Nel pieno rispetto di quanto recentemente affermato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 211 del 1o giungo 2006, le iniziative di cooperazione decentrata non potranno in alcun caso ledere la potestà dello Stato in materia di politica estera e dovranno coordinarsi strettamente con le priorità e con le indicazioni contenute nella programmazione triennale.
      L'articolo 10, al fine di dare attuazione ad obblighi internazionali già vigenti per l'Italia, prevede che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, siano erogate le risorse finanziarie necessarie al raggiungimento dell'obiettivo di un ammontare di risorse destinate dall'Italia alla cooperazione allo sviluppo pari allo 0,7 per cento del reddito nazionale lordo entro l'anno 2015.
      L'articolo 11 prevede la detassazione dei fondi destinati ad iniziative di cooperazione allo sviluppo e la defiscalizzazione delle relative specifiche attività, nonché la necessaria copertura finanziaria.
      L'articolo 12, infine, reca la data di entrata in vigore della legge.
 

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